Un uomo forma il proprio carattere con tutte le esperienze che la vita gli riserva:  dall’adolescenza all’età adulta, i propri tratti caratteriali, i pensieri , le idee, gli ideali.

C’è pero’ da dire che ci sono popoli, come quello Napoletano, che per fortuna o purtroppo subiscono un’altra influenza caratteriale , prende dalla propria terra il modo di affrontare determinate situazioni, riesce a trarre insegnamento da un fotogramm; e Napoli di fotogrammi ne ha tantissimi, sfumature ed effetti che non hanno bisogno  dell’aiuto del famigerato photoshop; è il caso dei personaggi con una spiccata sensibilità che hanno cantato, scritto e interpretato la voce ed il carattere di Napoli come se fosse un entità a se stante nel mondo.

Federico Salvatore lo ricordiamo tutti per le sue tante “macchiette” al Costanzo show, quando nelle prime apparizioni con la sua chitarra ci dilettava con le avventure del napoletano dei quartieri alti e il cafone che prende la vita un po come gli viene, parafrasando caratteri personali dei due volti del napoletano medio. Qualche tempo dopo lo scopriamo in una veste insolita di cantautore impegnato, ispirandosi al maestro Gaber, forse l’ideatore del teatro/canzone moderno, scrive una delle canzoni/poesie più belle e allo stesso tempo più dure, che qualche anno dopo è diventato addirittura uno spettacolo teatrale,  sulla città di Napoli mettendosi nei panni del santo patrono, San Gennaro.

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Maschere teatrali

 

Il cantautore si pone con un occhio critico come fece Gaber con la sua  bellissima “Se io fossi Dio (censurata per anni) dando uno sguardo  sul mondo , sulla politica , sui vizi e le poche virtù che l’epoca  contemporanea trasmette agli uomini. Ma si sa, Milano non è Napoli, e  nemmeno l’Italia lo è:  Napoli ha bisogno di parlare di se e a se stessa  con una certa confidenza, e Federico Salvatore scrive “se io fossi S.  Gennaro” con passaggi che non lasciano molto spazio a  all’immaginazione; che l’ascoltatore sia d’accordo o meno con quello  che il cantautore racconta, il testo offre tanti spunti di riflessione.

  

Se io fossi san Gennaro non sarei cosi’ leggero
Con i miei napoletani io m’incazzerei davvero
Come l’oste fa i conti dopo tanto fallimento
Senza troppi complimenti sarei cinico e violento.

È così che inizia: con una durezza nei confronti dei napoletani che da un santo non t’aspetti, figurati da un santo che “scioglie o sang”. San Gennaro si incazza con il proprio popolo che sembra non aver memoria dei fasti e dei luminari di tutti i campi che sono passati in questi posti, si incazza con chi con violenza mette la vergogna in volto ai napoletani onesti, camorristi e politicanti corrotti.

Ma mostra un’intolleranza verso il resto d’Italia che ,corrotta dai media, presenta Napoli  come un mondo a se; come se fosse normale che lì, in quei posti accada solo ciò che si sente dire, denigrando, vendendo Napoli come una città bella ma
Ed è con quel “ma … “ con i puntini sospensivi che forse hanno gettato più fango su una delle culture più ricche dell’intero pianeta .
  

Ma non posso più accettare l’etichetta provinciale
E una Napoli che ruba in ogni telegiornale
Una Napoli che puzza di ragù  di malavita
Di spaghetti cocaina e di pizza margherita. 

Così come nelle sue canzoni cabarettistiche dove racconta le gesta del napoletano ricco, del quartiere per bene e del suo diretto antagonista che abita in condizione di povertà e ignoranza , ma che s’arrangia, che si inventa ogni giorno un nuovo modo di essere o vivere, anche qui una strofa molto significativa spiega la vera natura di quello che è diventato l’essere napoletano.

Perche’ ancora io ci credo e mi incazzo ve lo giuro
Che Posillipo e Toledo li divide un vecchio muro
Come quello di Berlino che ci spacca in due meta’
            Uno e’ figlio ‘e bucchino l’altro e’ figlio ‘e papa’ .             

San Gennaro è stanco di essere patrono di tanta criminalità , tanta corruzione, di soprusi che le persone oneste, la sua gente, subisce da ogni dove e subisce dai suoi stessi fratelli. Allora la riflessione dell’uomo che si immedesima nel santo, vuole una rivoluzione e per ogni rivoluzione si sa, ci vuole un capo rivoluzionario e allora è li che dice :

Se io fossi San Gennaro giuro che mi vestirei
Pulcinella Che Guevara e dal cielo scenderei
Per gridare alla mia gente tutto cio’ che mi fa male
E finire da innocente pure io a Poggioreale.

È come se volesse gridare alla propria gente quello che gli fa male, che è lo stesso che fa male ad ogni uno di noi, perché credo che noi, così come vuole il Federico Salvatore-S.Gennaro, vogliamo più napoletani e meno napoletanità, quella che fa male ai napoletani ma quella che fa più comodo al resto d’Italia.
Alla fine l’umiltà viene fuori anche da un santo che chiede perdono a Napoli, la sua amata città, se ha avuto più coraggio di chi sta zitto e lascia che a “nuttata passa”.

             Sembra un gioco di parole ma mi sento più sicuro
    Coi progetti dal passato e i ricordi del futuro
               E alla fine del mio viaggio chiedo a Napoli perdono
                    Se ho cercato con coraggio di restare come sono.