Ho visto un film l’altra sera.

Ogni studente lo sa che, per evitare che lo studio consumi del tutto la propria linfa vitale, ogni tanto si ha bisogno di una pausa. Ma fa troppo freddo per uscire, troppo pigri per la partita a calcetto, figuriamoci per leggere le ultime pagine di quel libro che dovresti restituire da un anno, ma ti scoccia proprio finirlo … nemmeno ti ricordi come inizia.

 

Allora io, un po’ come ogni studente medio, l’altra sera ho chiuso i libri e ho visto un film, col pigiamone ovviamente, perché ti fa sentire comodo e disadattato come piace a te. Ho visto un film, ma di quelli senza trama complicata, che capisci a volo, una  leggera commedia americana, e per leggera intendo tipo un film delle gemelle Olsen. Poi mi sono resa conto di non avere più dodici anni da tante vite, quindi ho abbandonato l’idea.

 

Mangia, prega, ama” è stata la scelta. Film di Ryan Murphy del 2010 con Julia Roberts.Il film mi parla di Elizabeth, scrittrice di New York con un marito fighissimo, un bell’appartamento in centro e un lavoro che un po’ tutti sognano … questo in apparenza. In realtà si rende conto di aver amato dall’età di 15 anni tanti uomini ma mai se stessa, di non condividere gli stessi desideri del marito e di abitare in un posto e in un paio di scarpe che non sono casa. Perde la bussola che è dentro di lei, è disorientata. E allora parte e va in giro per il mondo a cercarsi.

 

“Perché alla giusta distanza la vista migliora e allontanarsi è conoscersi

 

intona una canzone. Elizabeth parte e tra le mete … Napoli. Ma niente Maschio Angioino o Lungomare di notte.
La tappa è Forcella.
La compagnia una pizza Margherita.

La Roberts in un’intervista dice che Napoli è un ottimo luogo tra i tanti visitati dove trovare uno degli amori più grandi: se stessi.

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Julia Roberts in “Mangia, prega, ama”- fonte: www.flickr.com

La gente corre, corre sempre come a New York, ma qui a Napoli ad un  certo punto si ferma. Il caffè  lo prendono seduti in un bar, la tazzina è così piccola che basterebbe meno di un minuto per lasciare quel tavolino, ma la magia è dopo il caffè. Lo bevono ed iniziano a raccontarsi. Quando bevono non corrono. E poi se corrono sorridono, salutano tutti, urlano. Anche le macchine urlano, ma non danno fastidio, sembra una grande orchestra che porta giù al mare, che partecipa alla melodia, suona la batteria. Il mare sono le bacchette di legno e gli scogli i piatti. Ed è tutta una musica calda, a volte un po’ disordinata, ma va bene perché non te l’aspetti, è sempre diversa.

 

Spengo il pc.

Penso che sia assurdo ritrovarsi a Forcella. Magari ci si ritrova facendo meditazione su una montagna Tibetana, magari nel silenzio. Nel frastuono di un quartiere, nel caos non si è mai ritrovato niente, figuriamoci se stessi. E poi non vedi i tramonti a Forcella, quelli si che ispirano del buono dentro. L’orizzonte è fatto di panni stesi e palazzi vecchi. Se c’è disordine fuori come fai a fare ordine dentro?

 

 Decido di guardarmi anche io un po’ dentro. Infondo lo facciamo tutti; corriamo smaniosi dietro le cose, dietro le persone, ci affanniamo a raggiungerle e mai raggiungiamo noi. E poi quanto ci piace  farci giudicare da uno specchio, da un like ad una foto, da quanto prendiamo in giro Mancini chiamandolo finocchio solo perché lo fa tutta la Home di Facebook, dal voto di un esame, da quanto guadagniamo, dal lavoro che facciamo e corriamo, corriamo, corriamo. Ma un caffè seduti a tavolino con noi stessi per raccontarci chi siamo veramente, lo beviamo mai?

E mentre penso mi addormento.

Il giorno dopo mi sveglio, metto una maglietta che mi piace, do un bacio a mia madre e scendo di casa. Prendo il treno e in venti minuti sono a Napoli.  Dalla stazione arrivo a piedi a Forcella. Sono un po’ accaldata per aver camminato velocemente, ma i panni stesi tra i palazzi che adesso sembrano delle belle collane di cielo fatte mollette e cotone mi coprono dai raggi. Sorrido a mo’ di ringraziamento.

Mentre cammino due artisti di strada intonano “Carmè Carmè..”. Sono uno più stonato dell’altro, ma poco importa; mi ricordano mia nonna che  la cantava quando ero una bambina, regalo loro un altro sorriso e qualche soldo.
Arrivo in pizzeria.
Ordino una pizza Margherita.
Sono seduta a tavolo con altra gente, il locale è piccolo, bisogna stringersi. Accanto a me un padre ed una figlia. Lei avrà all’incirca  7 anni, ed è felicissima della sua pausa pranzo con il papà e Barbie Raperonzolo. Sorrido per la terza volta. Arriva la pizza. Mentre penso la assaggio … ed è nei carboidrati che mi sono ritrovata.

 

E se trovassimo un po’ di noi stessi là dove non ci saremo mai aspettati di trovarci?
L’altra faccia dell’amore è Forcella.
L’altra faccia dell’amore sei tu
, quando decidi di ritrovarti nel quotidiano.
Che importa del frastuono fuori … importa della tua musica dentro.

E nel mio caso, la musica sapeva di tre sorrisi e pasta di pane.