Dopo l’incontro con la Sibilla al Lago d’Averno, il nostro Enea si fa largo tra i vicoli di Napoli. Tra i profumi e i colori, vede, o forse sogna, due personalità fuori dal tempo, Masaniello, decapitato, e Matilde Serao, solida sostenitrice dei più deboli. Attraverso i dubbi alimentati dal primo, la seconda riesce, con un sorriso, a dargli la forza di credere nei suoi ideali e di proseguire il suo viaggio.

Fuori dall’acqua mi concedo pochi minuti per asciugarmi al sole. Guardo la donna misteriosa e vorrei parlarle, dirle che tornerò, che la mia permanenza in questi luoghi non è finita, che grazie alla sua presa sicura e al suo sguardo sereno, mi ha dato il coraggio per prendermi del tempo, prima di portare a termine i miei doveri. Riscoprirmi, prima di reinventarmi. Mi guarda sorridendo, poi si accascia morbidamente sulle sponde del lago e socchiude gli occhi. Non ho bisogno di dirle nulla; capisco che, al mio ritorno, sarà li, dove la sto lasciando.
Mi allontano dall’acqua con l’animo rigenerato e una nuova forza che, fluida, mi scorre attraverso tutti i muscoli del corpo. In strada decido di affidarmi al caso e a chiunque, qualunque sia la sua meta. Il ragazzo che si ferma per venirmi in aiuto, quando apprende che sono in viaggio, prende in giro il mio vagare ma con lo sguardo tradisce il suo desiderio di rivalsa, di riscoperta. Sento che qualcosa lo blocca qui, ma nemmeno lui sa cosa. Non infierisco. Arrivati in città, mi lascia in quello che lui definisce ‘il centro’. Lo ringrazio e mi faccio largo tra alcuni vicoli popolari, superando mille volti di gente sconosciuta. Smorzati da accenni di accettazione, i loro occhi sono pieni di vita, le parole si riversano dalle loro labbra con accento melodioso, le loro mani, grosse di fatica, lavorano lo scorrere del tempo scandendo le parole come avessero tutte una solenne importanza. Alzando lo sguardo noto, da un balcone all’altro, funi di panni stesi ad asciugare, che il vento scosta sinuosamente lasciando che gli occhi si colmino comunque di quello spettacolo blu intenso di cielo crepuscolare.

Rione Sanità, Napoli.

Alcune case, in questi vicoli, hanno la porta spalancata. So che non dovrei sbirciare, ma dalle tavole accerchiate da famiglie pronte all’imminente cena, sento il richiamo di un invitante profumo di pomodoro fresco accompagnato da un inconsueto “favorite”, quando mi vedono passare. Sorrido imbarazzato da questa insolita ospitalità, scuotendo la mano in un timido “grazie”. Il profumo di cucina mi inebria e mi ricorda i pranzi con la mia di famiglia, incidendomi sul volto un sorriso nostalgico. Decido di riposarmi sui gradini di quello che un tempo doveva essere un Alimentari. Frugo nel tascone anteriore dell’unico zaino che porto con me e tiro fuori il tabacco. Lo sistemo su una cartina e cautamente lo lavoro con la punta delle dita. Alla prima boccata di fumo, finalmente mi rilasso, appoggiando la schiena alla serranda abbassata. Sono solo in vicoli sconosciuti, ma mi sento quasi a casa. Riposo gli occhi per pochi istanti. Quando li riapro vedo, in fondo al vicolo, due figure, un uomo e una donna, che prima non avevo notato, è come se si fossero misteriosamente materializzati. Sarà la fame, o la stanchezza, ma mi sembra che l’uomo non abbia la testa sulle spalle, ma salda sotto il braccio, come uno studente i suoi libri. La scena mi intriga, ma l’educazione rigida che ho ricevuto mi impone di non scrutare troppo le persone e, come se avessi una spada affilata sul collo, mi giro a guardarli solo saltuariamente. L’uomo è scarno, vestito di stracci. La sua pelle trasparente gli copre le vene come se fosse carta velina e stento a credere che in quelle vene possa ancora scorrere del sangue. La sua testa, sottobraccio, ha uno sguardo amareggiato, triste. La donna che lo accompagna, è completamente diversa: indossa un abito elegante d’altri tempi, è tornita, nel corpo e nel modo di fare. Lo sostiene, come se da lei dipendesse la rivalsa dei sogni di lui. Mi chiedo cosa possa averlo mai spinto così lontano da se stesso da perdere addirittura la testa. Un uomo lotta sempre per i propri ideali, solo la pazzia può averlo affondato e ridotto in quello stato. Do un’altra occhiata. No. Non è un pazzo, è un disilluso. Magari anche lui, come me, ha lottato contro la forza degli eventi per riuscire ad inventare qualcosa per cui valesse la pena vivere. Eppure eccolo li, senza testa. Senza sorriso. Immagino che forse la donna che amava deve essere morta di crepacuore, abbandonando il suo corpo nudo tra le viscide mani del dolore, legata alla perdita dell’unico uomo che con il sudore della fronte e l’animo nobile, le scaldava il cuore e con lei condivideva, devotamente, non solo il letto ma anche il piatto in tavola. Lui forse avrà perso la testa per il desiderio di libertà che ogni uomo rincorre, ma non sembra essere morto libero. La disillusione nei suoi occhi lascia trapelare una sconfitta o, magari, un tradimento. E se i suoi compagni non avessero creduto in lui? Se l’avessero abbandonato in balìa dell’incertezza? Oppure, se l’avessero accusato di pazzia, proprio nel momento in cui lui credeva di aver raggiunto dei traguardi straordinari?! I suoi occhi senza speranza incrociano i miei per pochi secondi. Sembra compatirmi. Distolgo lo sguardo. Forse ha ragione. Forse tutto questo rincorrere il tempo, la realizzazione personale, l’accollarsi un senso di responsabilità per chi crede in me, cercando di respingere il più possibile quel dannato senso di colpa, forse non ne vale davvero la pena. Forse valeva di più la pena rimanere a casa, davanti al fuoco domestico di una famiglia premurosa, o con il naso tra i capelli profumati del mio amore, ormai perduto…

La donna a cui lui si appoggia, è decisamente diversa, forte. Sembra aver sempre vissuto di speranze, con la determinazione di chi sa che un giorno tutto ciò in cui si crede, tutti i suoi sogni, prima o poi, si realizzeranno. Si nota una chiara differenza sociale tra i due. Lei è benestante, probabilmente ereditiera o figlia di persone di rilievo. Lui, coperto di bisacce consunte, tuttalpiù sarà un mercante sfortunato. Un rivoluzionario domato. Il modo in cui lei lo sostiene, sussurrandogli parole che non riesco ad afferrare, mi fa pensare che forse lei stia provando a dargli coraggio, a infondergli nuova vita. Sembra che lei faccia questo da sempre. Forse è nata con il dono di infondere fede in chi non vede più l’ombra di riscatto. Immagino che, grazie al suo grado sociale, evidentemente alto, lei sia in grado di parlare anche ai più potenti, fronteggiarli, mostrando loro la fangosa miseria in cui i bisognosi come lui si mescolano giorno dopo giorno, restandone impantanati, privi di cognizione di un probabile miglioramento. La sua voce deve essere prorompente, come la sua intera persona. I suoi capelli neri sono raccolti severamente sulla nuca, senza nessuna ciocca libera di vagarle davanti al viso, per timore che le possa impedire la chiara visuale della realtà. La sua figura fiera lascia trapelare poca flessibilità di carattere per l’estremo ozio decisionale delle classi più abbienti, di cui ella stessa deve far parte. Nonostante la sua apparenza d’alto rango, lei sembra nutrirsi della bellezza incontaminata di questi vicoli che profumano di pomodoro e basilico freschi, dei volti agguerriti dei giovani che sfrecciano spavaldi tra un vicolo e l’altro, come se non esistesse morte, degli uomini e delle donne che non credono in nulla se non nel calore dei propri familiari e combattono una guerra muta in nome dell’unico bisogno di procurarsi il pane quotidiano, nella buona e nella cattiva sorte. Lei forse è la loro voce. Forse è anche la mia voce. La voce di chi ha bisogno di essere visto, seguito, aiutato, riscattato.
I due si avvicinano e questo mi desta dai pensieri. Passandomi davanti, la donna mi rivolge uno sguardo e  mi sorride, cogliendomi di sorpresa. Mi sento fulminato da quello sguardo di speranza e determinazione! Si volta di nuovo e torna a parlare all’uomo senza testa. Ancora non colgo le parole, ma il suo tono di voce è più dolce di come l’avevo immaginato. Forse i suoi occhi hanno ragione, vale la pena lottare per i propri sogni, con tutte le delusioni che essi comportano. Lentamente si allontanano dalla mia vista. Forse non li ho mai visti. Li perdo. Si perdono. In fondo a quello che deve essere l’avvicinarsi di una nuova alba…