Caro Lucio,
tre anni ormai sono trascorsi da quando te ne sei andato. Il tempo, per un essere millenario come me, è un nonnulla.

Questa notte, ancora una volta, son salita sulla bocca del mio Vesuvio. Come quella notte di tanti anni fa, quando il vento mi portò all’orecchio la tua musica. E di te m’innamorai perdutamente.  C’era la luna e tu componevi con quel piano un po’ scordato la mia “Caruso”.
Eri uno zingaro inconsapevole al tempo, dicevi “è una  canzone del cuore”. Non volevi nemmeno cantarla, non ti sentivi all’altezza delle parole, del napoletano. “Sono un bolognese”. Eppure, nel cuore eri mezzosangue. Il tuo sangue si mescolava alla terra del Sud. Solo un animo incompreso  come il tuo avrebbe potuto portare alla luce la storia di Enrico Caruso. Enrico lo amavo.  Ripeteva sempre “chi non prova niente, non potrà mai cantare”.
E aveva ragione. Ha dovuto aspettare tanto tempo perché qualcuno raccontasse la sua storia.
Ricordo ancora quella notte. Quando la tua barca ebbe un guasto e tu decidesti di fermarti a Sorrento.
Ero incuriosita da quell’ometto con la barba e gli occhiali. Un po’ buffo come personaggio.
Ho interrogato più e più volte il mio calderone, l’ho rimescolato per scoprire tu chi fossi. Ma mi diceva solo che il mondo ti chiamava “disadattato”. Non capivo, sicuramente il mio calderone aveva qualche interferenza.
Per 3 notti mi arrampicavo sulla bocca del Vesuvio, sedevo e ascoltavo la tua voce e la tua musica.
Un tuffo nel passato veder rivivere Enrico.
E quell’amore che gli scaldò il cuore negli ultimi mesi della sua vita. Quanto dolore, quanta sofferenza ha provato Enrico. Un cuore ruggente, che in ogni dramma era sempre un altro. Un grande dolore per lui non poter più cantare, Sorrento fu una gabbia dorata per lui. Lui che aveva solcato i palcoscenici di tutto il mondo. Lui che aveva visto l’America. Poi, quella ragazza. Una giovane donna che voleva provar la lirica. Occhi verdi come il mare che bagna Napoli, tu dirai.  Sul finire della sua vita, gli sbocciò nel cuore l’amore per lei e per la sua vita.
Era felice. Scomparvero tutte le sue amarezze e i suoi grandi dolori. Su quella terrazza, in quella stanza a picco sul mare, Enrico riprese a cantare. Da lontano io lo ascoltavo. E lo amavo. Molti anni ormai son trascorsi da quei giorni felici.
Stanotte scrivo a te, perché Napoli si inchina a te.
Tu le hai reso omaggio colorando le note di Caruso. Non solo Enrico, ma anche Napoli, hai portato nel mondo. In ogni angolo del mondo irrompe la tua musica e con essa la storia struggente del tenore napoletano e della ragazza dagli occhi color del mare, Napoli. Come non amarti?
In essa hai racchiuso le melodie e le parole di quest’atavica Partenope, che ogni giorno si reinventa; indossando un colore diverso. Terra e mare di contrasti. Terra di sole e di struggente passione.
Ti ho rivisto un paio di volte da quella volta solcare di nuovo questo mare che sfiora la mia casa, poi sei scomparso.
E’ quasi l’alba qui dove il mare luccica.
L’incanto, la meraviglia di questa notte piena di Caruso giunge al termine.
Prima che il Sole mi raggiunga, ritorno nel mio nascondiglio.

A te, solo un grazie. 
Io e la mia Napoli Te vogliamo bene assaie.