Non so se il trash natalizio esistesse prima della mia pubertà.
Da un’accurata e professionale ricerca fatta su google apprendo di sì, eppure non ne avevo il sentore.
La capacità di percepire il trash viene con gli anni, con la maturità di distinguere ciò che è Maria Nazionale da ciò che non lo è. E tutto ciò è un potere. Ma, si sa, da grandi poteri derivano grandi responsabilità e dunque mi tocca scrivere questo articolo.

Avevo due anni quando una Maria più internazionale, ovvero la cantante americana Mariah Carey insegnò al mondo che tutto ciò che conta, a Natale, è avere accanto la persona che si ama.
Avevo due anni e gli occhi mi si riempivano di gioia quando vedevo il suo ancor esile corpicino comparire su MTV, rotolarsi nella neve e inneggiare alla bellezza del Natale.
Avevo due anni quando, sulle note di “All I want for Christmas is you”, mi innamoravo dell’idea del caminetto acceso, dei regali sotto l’albero, della conta sulle manine per aspettare il giorno più bello dell’anno.
Avevo due anni, Mariah era giovane e magra, Michael Bublé non aveva ancora ottenuto la green card per entrare negli USA e Babbo Natale non veniva ancora appeso fuori i balconi della mia città nella macabra rappresentazione di un’impiccagione settecentesca.
Era un mondo bello, insomma.
Dicembre era una salda catena di giorni fatta di repliche di Fantaghirò, storia della prima transgender della televisione italiana arricchita da effetti speciali degni di Power Point; di “Mamma ho perso l’aereo”, che a posteriori possiamo definire un prequel de “I ragazzi dello zoo di Berlino”;  di speciali della Disney, prima che Miley Cyrus la trasformasse in un set dei film di Tinto Brass.
Eppure, guardando a ritroso, i primi sentori di un lento scivolare nel trash c’erano. Eccome se c’erano. Ma il mio puro cuore era incapace di vederli.

Due anni fa, però, il mio cuore non ha retto.
Si è spalancato e ha lasciato entrare tutta la luce del Natale: la sobria luce dei caseifici addobbati come casinò di Las Vegas, la tenue dei led di origine cinese, ormai prima causa di epilessia giovanile.
Ricordo quel momento come fosse ieri.
Ero qui, davanti al computer, quando youtube mi suggerì un video: non so perché lo fece ma, da allora, la mia fiducia in youtube e nel mondo è totalmente scomparsa.
Già preavvisato dal titolo, con mano tremante aprii la miniatura del video: nei pochi istanti che precedettero la riproduzione, il ricordo di tutti i natali felici mi tornarono in mente in una sequenza mentale degna della scena finale de “La teoria del tutto”.
Mariah Carey, ingrassata di 124 chili, sorrideva e duettava amabilmente con Justin Bieber sulle note di “All I want for Christmas is You”.
Lei, sfigurata dall’obesità.
Lui, vabbé.
Incapace di reagire, guardai l’interezza del video, prima di andare nell’altra stanza e staccare con furia le luci dell’albero di Natale.
“Cosa stai facendo?” chiese mia madre.
“Mariah, per me, è morta”.
Mia madre tornò in silenzio a cucinare per il cenone.
Immagino che una lacrima sia scesa anche sul suo viso.

Potevo reggere a pandori dedicati a Valerio Scanu.
Potevo reggere a cinepanettoni che, come i film delle gemelle Olsen, sono stati girati in tutte le capitali del mondo.
Potevo reggere allo speciale di Natale condotto da Carlo Conti con la partecipazione di Orietta Berti.
Ma a questo no, non potevo reggere.

Addio Mariah.
Addio Natale.