Circa due anni fa ho conosciuto un ragazzo che girava tenendo in tasca il biglietto di un volo aereo.

Alle sue spalle da poco si era lasciato il timido sole di Londra, turni di lavoro frenetici in uno dei ristoranti della capitale d’Europa, tra comande di piatti surgelati e saracinesche abbassate poco dopo l’ora del tè.
Tornato a Napoli, dopo gli abbracci di famiglia e amici, senza esitare aveva avviato le pratiche per ottenere il visto, assicurandosi quindi l’ingresso in Australia. L’adrenalinica ansia dei nuovi inizi aumentava mentre Sydney lo aspettava. O forse lui aspettava quella nuova città, autoconvincendosi che per quella valeva la pena cambiare l’articolo chiamandola La città.

Già poco dopo il diploma era entrato nel mondo del lavoro, lontano da Napoli, non tollerando la diffusa idea che lavorare a Napoli è fortuna di pochi dalla quale non si possono pretendere doveri né il rispetto dei diritti, tornando a casa nei fine settimana, imparando, poi, una nuova lingua nella quale le due parole new friends lo avrebbero fatto sentire meno solo assaggiando la sua torta di compleanno o riempendo bicchieri di plastica rossi con bollicine scadenti augurandosi ‘buon anno’. Quando gli chiesi cosa lo spingesse ad essere pronto a sedersi ancora su un aereo il suo tono di voce tradì le stimabili intenzioni di crescita professionale e discutibile voglia di mangiarsi il mondo a morsi resistendo ad eventuali mal di pancia tenendo fede al detto ‘ogni lasciata è persa’: c’era solo paura di restare.

Amici e volti di cui ricordo il nome, miei coetanei, con foglie di alloro sul capo ed un pezzo di carta incorniciato al muro costituiscono un gruppo in visibile crescita, generando l’invidia positiva a macinare di corsa i metri in salita che separano dalla laurea. Il passo successivo sono valigie enormi e saluti dai finestrini di un treno. Pisa, Milano, un’università estera ospiteranno le loro giovani menti decise a proseguire gli studi o altre città la loro fame di esperienza sul e nel campo per cui hanno studiato o per il quale hanno da sempre nutrito una passione verace.
Quel ‘dottore in’ è il lasciapassare nel mondo degli adulti per quegli stessi, nonostante la veneranda età, allenatori in possesso di fantamilioni e indossatrici di abiti di tendenza nelle discoteche del centro che guardandosi intorno, con scaffali di libri e lunghe ore di appunti non riconoscono nelle poche strade che Napoli offre la loro. Non c’è da biasimarli. Napoli di strade asfaltate non ne ha. Ci sono buche, restringimenti, i marciapiedi si confondono con le corsie lungo le quali auto in corsa dimenticano di fermarsi agli stop. E’ un passeggiare tra gli ostacoli, cambiare direzione, qualche volta non metter piedi fuori perché la folla è troppa e le lunghe file annoiano. Si resta chiusi in casa, ci si si ripete ‘non c’è posto per me’ cercandone un altro.

Mai ho incontrato persona che lasciasse Napoli anzitutto per volontà. Ci si mette in viaggio con la porta socchiusa o comunque le chiavi in tasca perché Napoli resta casa tua, ma la tavola apparecchiata per te non l’aveva, non c’erano sedie da aggiungere, solo attese per un pasto che magari mai avresti assaggiato o gli avanzi comunque non sarebbero bastati.

Chi nasce a Napoli recide il cordone ombelicale con la propria madre ma non con la propria terra, crescendo poi con l’idea che essa sia la più bella tra le donne per la quale si prova una passione struggente restando categoricamente delusi. Vince l’orgoglio, la dignità da difendere, la paura che ad un amore così si resta ancorati perdendo la possibilità di viverne altri.

Napoli non è più quella bella donna. Napoli è una bambina. I bambini sono egoisti nella loro innocenza, vanno amati di un amore che non conosce baratto, ai quali le spalle non vanno voltate. Tra i due l’adulto sei tu.
Non si sa mai bene cosa fare con i bambini, ma a me, a mia figlia son sempre piaciuti i mattoncini: prima sparsi ovunque, poi incastrati l’uno sull’altro fino a costruire torri altissime, solide.
Partire è un po’ come morire. Lasciare Napoli è tradire. E’ la vigliaccheria di chi torna a casa per le feste comandate, portando un po’ della sua terra in giro per il mondo, ma non offrendole le sue capacità, i suoi sacrifici, lamentandosi con le mani pulite di ciò che a Napoli manca chiudendo gli occhi sulle sue potenzialità, su ciò che è stata e che potrebbe essere se invece di partire si restasse. Nessuna megalopoli o prestigiosa università ha a disposizione fidate cartomanti o avanguardistiche palle magiche da cui con certezza sapere del futuro di ognuno. Esso è prerogativa dell’incertezza e va costruito, sudato, al limite del possibile domato.

A Napoli ciò si accompagna alla soddisfazione di schiaffeggiare moralmente tutti coloro che dimenticano che “dall’asfalto non nasce niente, ma dal letame nascono i fiori”.