Camicione bianco, berretto a “pan di zucchero”, maschera nera con il naso aquilino. Alzi la mano chi in vita sua, a Carnevale, non si è mai mascherato da Pulcinella.

Proprio oggi, Martedì grasso, ci piace raccontarvi la storia di questo personaggio, emblema della tradizione partenopea. Fonti ufficiali dicono che la maschera di Pulcinella sia nata ad Acerra dall’attore Silvio Fiorillo nella seconda metà del Cinquecento, anche se fu Antonio Petito, nel IX secolo, a dargli il costume che noi tutti conosciamo. In origine infatti, Pulcinella indossava un cappello bicorno e aveva barba e baffi.
Tuttavia, le sue origine sono ben più antiche: nelle fabulae atellane del IV secolo, ritroviamo il personaggio di Maccus, un servo dal naso lungo, dalla faccia bitorzoluta con guance rosse e la pancia grossa, che indossava una camicia larga e bianca. L’avo di Pulcinella, insomma.
Maschera per eccellenza del teatro napoletano. Ce lo ricordava Eduardo nelle sue commedie. L’abbiamo visto nei teatrini per bambini, rivale di Arlecchino e innamorato di Colombina. Diventa burattino nella Commedia dell’Arte, un anti-eroe che riesce sempre a sconfiggere i suoi improbabili avversari.
Pulcinella che mangia gli spaghetti con le mani, Pulcinella che balla la tarantella, Pulcinella a cavallo di un babà. Le statuine di San Gregorio Armeno, i quadretti con frasi di buon augurio, carte da gioco e ninnoli vari parlano di Napoli attraverso la sua maschera. Una filosofia, la sua, che incarna perfettamente il modus operandi di un napoletano doc: un modo per cavarsela lo si trova sempre. “Paziann’ e rirenn’ “ si guarda alla vita con la consapevolezza che un sorriso, una battuta e uno spirito gioioso aiutano a vivere meglio e a superare qualsiasi avversità. Simbolo di genuinità e spontaneità, che a volte parla troppo anche quando non dovrebbe: dice niente
l’espressione “segreto di Pulcinella”?