Napoli.
Nella zona occidentale del Rione Sanità, tra i più antichi ed importanti Rioni di Napoli, ecco il Cimitero delle Fontanelle estendersi su di un’area di circa 3.000 m² in una cavità stimata in 30.000 m²: trionfo del macabro o stigmatizzazione dello stesso da parte della cultura partenopea?

La storia di questo cimitero ha date ed eventi ben circoscritti: anno 1656; la peste uccide circa 15.000 napoletani e l’area, prima semplicemente un’enorme cava in cui reperire tufo, diventa un enorme cimitero in cui seppellire i cadaveri della grande epidemia del 1656 e poi, successivamente, per le epidemie di colera del 1836. Si racconta che una volta uno studioso sia arrivato a contare circa 8 milioni di ossa dei cadaveri che componevano ‘O campusanto d’ ‘e Funtanelle; oggi se ne contano 40.000, ma ci sono ottime ragioni per credere che sotto l’attuale piano di calpestìo siano ammassate ossa per una profondità di circa 4 metri.

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Un particolare del Cimitero delle fontanelle

Anno 1851. Direttore del ritiro di San Raffaele a Materdei, il Canonico Andrea de Jorio descriveva pratiche alquanto discutibili che vedevano coinvolte la parte benestante di Napoli e i becchini che dovevano seppellire i cari di questi signori: ebbene, de Jorio raccontava di questi becchini che accettavano ragguardevoli somme di denaro dalle famiglie degli estinti affinchè il defunto fosse seppellito in una delle chiese di Napoli; in realtà, nella stessa notte del funerale proprio i becchini raccoglievano le ossa del morto e le gettavano nelle cave di tufo di Via Fontanelle, un’altra componente di quell’ammasso di ossa struggente che porterà lo studioso suddetto a contare 8 milioni di ossa tra queste cave. Numero che scenderà a 40.000 in seguito ad una improvvisa inondazione di una delle gallerie, ed ecco ritrovare nell’urbe di Napoli di fine ‘800, crani e ossa varie a rasentare i marciapiedi delle strade.

A partire dal 29 luglio 1969, un decreto del Tribunale Ecclesiastico proibiva il culto delle ‘capuzzelle’: preoccupava il feticismo che sottostava alle pratiche delle anime pezzentelle, oltre all’alone di paganesimo che si respirava in quelle cave. Il cimitero rimarrà chiuso fino al 23 maggio 2010, giorno in cui una pacifica occupazione degli abitanti del Rione Sanità convinse il Comune a riaprire il cimitero.

Il culto delle anime pezzentelle

Fede e orrore, misticismo e sensualità, idolatria assennata, ritmi dionisiaci… Laddove il confine tra sacro e profano è così labile, ‘pagano’ diventa l’unico aggettivo in grado di fotografare pratiche singolari.

Le pratiche dell'adozione delle 'capuzzelle'

Le pratiche dell’adozione delle ‘capuzzelle’

Ossa senza identità, ammassate le une sulle altre, divenivano le anime abbandonate, anime pezzentelle, per i proseliti di questo culto; anzi, queste anime dimenticate, erano agli occhi della parte povera della popolazione napoletana un tramite tra mondo dei vivi e quello dei morti. Queste anime divenivano dunque motivo di speranza per queste persone ormai del tutto estranee alla vita reale, proprio perchè costernata di privazioni e sofferenze: c’era quasi una ‘cum-passione‘ tra queste anime abbandonate, anonime, povere di ricordi e questi poveri, vivi ma morti e speranzosi anzi di trovare in questi contesti sensazioni più gradevoli di quelle suggerite dalla vita di tutti i giorni.

Ad ogni capuzzella i napoletani associavano storie, nomi, ruoli inventati e questi stessi teschi entravano praticamente a far parte della famiglia di chi li adottava. E tutto ciò richiedeva un cerimoniale particolare: fazzoletti ricamati e cosparsi di fiori e lumini erano la base su cui venivano poggiati i teschi lucidati e puliti per l’occasione; al collo del teschio veniva messo un rosario in modo da formare un cerchio. Si provvedeva poi a sostituire il fazzoletto con un cuscino ed il cerimoniale di adozione era completato: a questo punto seguiva l’apparizione in sogno dell’anima prescelta. Quest’anima era pregata e le si concedeva in questo modo ‘o refrisco dalle pene del purgatorio: in cambio essa concedeva una grazia o numeri da giocare a lotto. L’ultima, storicamente certificata, pratica di questo culto risale alla Seconda Guerra Mondiale: di fronte allo scenario di morte e paura instaurato dal conflitto, il popolo napoletano si rivolse anche al pagano, volenteroso di trovare una risposta alle tante insensatezze suggerite dal mondo esterno.