Daniele Sanzone è il frontman degli ‘A67, un gruppo Crossover originario di Scampia. L’origine del nome ‘A67 è dovuta alla legge 167/62 che statuì le Disposizioni per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica e popolare, che edificò, com’è noto, anche l’area di Scampia.
Sanzone  racconta la realtà che lo circonda, racconta di quella  multinazionale del crimine chiamata popolarmente camorra, nata nella prima metà dell’Ottocento con il nome “Bella Società Riformata”, per poi evolversi nella cd. “Nuova Camorra Organizzata”, setta criminale fondata da Raffaele Cutolo verso la metà degli Anni ’70.
Sanzone  è laureato in Filosofia presso l’Università degli studi di Napoli Federico II ed è stato il vincitore del prestigioso Premio Nazionale Paolo Borsellino nel 2014 con il suo saggio inchiesta “Camorra Sound”. Vl_port
Camorra Sound  racconta diacronicamente l’evoluzione della camorra all’interno della canzone napoletana. Sanzone si allontana dall’idea che il raccordo tra musica e camorra sia rappresentato dai neomelodici, per analizzare un altro aspetto (avvalendosi anche di numerose interviste come quella ad Edoardo Bennato, a Zulù dei 99 Posse, a Raiz degli Almamegretta, a Dario Fo, a Caparezza), ovvero quello rappresentato dalla musica impegnata che poco parla, nelle  proprie canzoni in cui vi sono messaggi di protesta, della camorra.
Daniele Sanzone si è assunto un compito molto impegnativo, ovvero quello di creare un’opera fruibile per tutti, che andasse oltre i confini regionali e che “invadesse” quelli nazionali. È un’opera che deve essere sottoposta ad un’attenta lettura perché ricca di spunti di riflessione

INTERVISTA A DANIELE SANZONE, AUTORE DI CAMORRA SOUND
Cosa ti ha indotto ad esporti in questo modo trattando di una tematica molto delicata che comporta l’assunzione inevitabile di rischi? Hai avuto delle ripercussioni in seguito all’uscita del libro?
Ero consapevolissimo dei rischi, ma i rischi maggiori paradossalmente sono stati la mia ricerca di un linguaggio fruibile e semplice, cosa molto importante per chi, come me, vuole parlare al maggior numero di persone; in secondo luogo volevo essere rigoroso perché mi trovavo a chiedere a personaggi della cultura, della borghesia o ai miei colleghi che hanno un ego molto grande, perché non avessero sentito l’esigenza di parlare di camorra nelle loro canzoni, domanda ovviamente non semplice da porre. In questo senso ho dovuto utilizzare la forma saggistica, rispettosa, rigorosa perché non potevo sbagliare. Ho avuto risposte lunghissime, alcune anche molto dure nei miei confronti, come quella di Daniele Sepe, che ovviamente non ho censurato. Credo che Camorra Sound sia un libro importante perché gli artisti hanno un potere simbolico che è inversamente proporzionale alla decadenza della politica attuale. Laddove la politica non conta più, gli artisti diventano punti di riferimento importanti per le nuove generazioni. I 99 Posse, gli Almamegretta, spesso hanno cantato dei desaparecidos, di Victor Jara, di Che Guevara, di personaggi e storie lontani da noi nello spazio e nel tempo, ma puntualmente si dimenticavano di una guerra sotto casa che faceva in media cento morti l’anno,  quindi tutto questo silenzio mi sembrava un paradosso. Questa la ragione che mi ha indotto a scrivere il libro e che ha vinto tutte le mie incertezze e dubbi.
Voi musicisti avete tra le mani un potere enorme perché la musica è un mezzo di comunicazione straordinario che risulta utile per sensibilizzare le mentalità più radicate…
Assolutamente si! È ovvio però che non si può dire ad un’artista cosa deve cantare. Ad esempio, una delle risposte più originali e divertenti che mi sono state date nel libro è stata quella di Michele Caparezza che ha sottolineato come lui, nelle sue canzoni, abbia parlato di Mafie, ma che il suo primo impegno è quello di creare opere originali, perché se si scrive una canzone impegnata ma essa risulta brutta, questa non è più una canzone impegnata ma una canzone “noiosa”. L’arte, un’opera artistica, è qualcosa di molto complesso perché è figlia del proprio tempo e si prefigge il compito di arrivare alla gente, a chi su di essa pone l’attenzione in quel dato momento storico e quindi deve essere originale e mai restrittiva. Credo pertanto che ognuno di noi debba assumersi la responsabilità di utilizzare questo strumento potente che ha tra le mani e lo deve fare attraverso i propri mezzi e possibilità.
Io mi sono limitato a vedere l’assenza completa di parola “Camorra” e di una presa di posizione che condanna il “sistema” che purtroppo manca all’interno dell’infinita produzione musicale napoletana.

Camorra Sound

Camorra Sound

Al di là delle risposte che ti sono state date da coloro che hai intervistato e che hanno aperto la strada a spunti di riflessione, Tu che risposta ti sei dato?
Io credo che da un lato ci sia una sorta di paura legittima che però oggi probabilmente non ha più senso perché tutto deve essere contestualizzato prima e dopo Gomorra perché, in questo senso, essa è funta da spartiacque per quanto riguarda le narrazioni di questo tipo.
Negli Anni ‘80 c’è stata la faida tra NCO e la Nuova Famiglia che, in 5 anni , ha fatto millecinquecento morti, pertanto di fronte a questi numeri è normale avere paura. Quindi, se da un lato è legittimo avere paura, dall’altro si è sviluppata una forma di giustificazionismo dovuta alla retorica “non c’è lavoro, non c’è lo stato”,  alla disoccupazione o alle istituzioni poco presenti, ma una cosa è giustificare un contrabbandiere ed un’altra un killer o i camorristi che appartengono a “o sistema, dall’altro ancora c’è la voglia inconscia di rimuovere il problema rifiutandosi di vederlo. Risulta più semplice parlare di Che Guevara, della Palestina, dedicare canzoni a Vittorio Arrigoni che, per carità, meritano tutti, piuttosto che parlare di un problema che è sotto gli occhi di tutti. Io e il mio gruppo venivamo additati come quelli che parlavano camorra, della quale tra l’altro fino a quel momento non ne aveva parlato nessuno, che successivamente Gomorra ha dato il coraggio a chi non ce l’aveva di affrontare questo tema, anche perché intorno ad esso si è creato un mercato, basti vedere il proliferare di film, dischi, libri.
Daniele com’è vivere a Scampia? Tu cosa pensi dei luoghi comuni che vogliono Napoli e le sue periferie come il fulcro della criminalità?
Questa domanda assume significati diversi ed ha risposte diverse a seconda del tempo in cui viene posta. Oggi Scampia ha una potenza simbolica impressionante perché è considerata il buco nero dell’Italia, però è anche vero che la Scampia di oggi non è quella di dieci anni fa. Dieci anni fa c’era una piazza di spaccio ogni cinquanta metri e c’era una vera e propria spettacolarizzazione della criminalità. Oggi però il quartiere è cambiato radicalmente, ciò non vuol dire che non ci sia più criminalità, ma grazie al lavoro di tante associazioni ed allo Stato intervenuto con un’operazione chiamata “Alto Impatto”, sono state debellate materialmente tutte le piazze di spaccio nella loro forma vecchia.Roberto_Saviano_2011-03 Questo è potuto avvenire anche grazie alla presa di coscienza da parte della cittadinanza .
In questo senso, mentre  mi riconosco in Gomorra come film o libro, quindi come narrazioni importanti che hanno raccontato il tessuto sociale, le viscere di questa terra, oggi non mi riconosco più invece nella narrazione della fiction perché quella realtà non esiste più così come raccontata . Tutto questo  mi lascia molto perplesso perché Saviano si difende dicendo che non si può fermare l’urgenza di difendere il territorio, però io credo che ciò che spinga Cattleya e Sky a produrre Gomorra-La serie non sia l’urgenza di raccontare il territorio, bensì il puro business.
Che sensazione hai provato quando ti è stato assegnato il premio Paolo Borsellino?
È stato il riconoscimento più bello che potesse essermi assegnato. Il solo nome associato a quel premio fa venire i brividi. Io dedicai il premio a Davide Bifolco, un ragazzo di 16 anni ucciso da un proiettile sparato da un carabiniere nel rione Traiano. Quando dedicai il premio a Davide, perché per me è morto di legalità, calò il gelo nella sala perché la gente non capiva per quale ragione io avessi dedicato un premio ad un ragazzino morto in quel modo dato che si era diffusa l’idea che il ragazzo “puzzasse” di camorra. Io sono cresciuto a Scampia, in quella realtà in cui si viene additati per il semplice fatto di vivere lì, perciò penso che, in qualche modo, mi sia andata bene, a differenza di Davide.
Non mi aspettavo di vincere il premio ed è inutile dire che sono felicissimo.

“Nella Bocca del Vulcano” ringrazia Daniele Sanzone per la disponibilità mostrata nel rilasciare l’intervista.