Garibaldi e il Risorgimento italiano: due mondi o due verità?

Cosa mi direste se vi dicessi che un attore avvenente è in realtà un brutto anatroccolo? O che il Titanic non è mai affondato? E se sostenessi che è il Sole a girare intorno alla Terra e non viceversa? O, ancora, che Madre Teresa di Calcutta era una pazza criminale? Scommetto, anzi, sono certa, che mi dareste della forsennata. Beh, credetemi, ci sono delle verità nascoste che causano altrettanta pelle d’oca. O forse nausea. Insomma, lo stupore è talmente tanto che non si sa neppure se ridere o piangere.

Meraviglia, sorpresa, incredulità, sbalordimento e, infine, disorientamento, confusione: ecco come ci si sente quando una delle verità che crediamo ecumeniche viene a mancare, offrendoci, alla stregua, una sensazione di mancamento di terreno sotto i piedi. E’ appunto la stabilità a venire meno, fatta di credenze che crediamo fondate. Quando veniamo feriti o, più semplicemente, qualcuno ci mente, perdiamo fiducia nel mondo oltre che nell’artefice del fatto. Immaginiamo, per assurdo, che grandi bugie riguardino la storia ufficiale, quella che si narra ai bambini e che ci segue e ci insegue sino all’età adulta.

Infine, sempre per assurdo, poniamo che sia tutto vero.

Questo è quanto è accaduto alla storia d’Italia, quella tanto osannata dai libri di storia, che conta innumerevoli vittime ricordate su lapidi di cui il Belpaese è cosparso. Da sempre, ci hanno impresso nella mente quanto grande e giusta fosse la causa che condusse all’Unità, ma non ci hanno mai parlato del come. Per rendere tutto più piacevole e romanzato, oltre che per inculcare al meglio “i fatterelli” nella mente di grandi e piccini, ai burattinai dell’epoca servivano figure a metà tra il vero ed il fiabesco.

Ecco, allora che sbuca Garibaldi sul suo cavallo bianco, amato e sostenuto dalle camicie rosse divenute un simbolo mondiale. Un cavallo che, invero, era una giumenta grigia che, nei dipinti ufficiali, diviene nera. E già questo, di per sé, è un piccolo grande mistero, non trovate? Altro che lo scontato indovinello: “Di che colore era il cavallo bianco di Garibaldi ?”. Ed in effetti, così come avviene per il cavallo, aleggia un certo alone intorno alla figura di Garibaldi stesso, un alone di mistero che investe tanto la sfera fisica che quella psicologica del personaggio.

Non a caso, nel 2008, il Sindaco siciliano di Capo d’Orlando, ha preso a picconate una targa di una piazza in memoria di Garibaldi . Pazzo? Beh, prima di decidere se l’ex sindaco fosse stato vittima di un colpo di calore, c’è da mettersi nei suoi panni o meglio, in quelli di una macroregione fatta di terre che sono state martoriate e dimenticate nel tempo, in nome di un’unità che neppure volevano ma che, anzi, hanno combattuto con foga. Insomma, c’è da mettersi nei panni di briganti del Meridione d’Italia. Briganti, sì, ma non criminali di guerra o bestie da civilizzare: solo persone semplici, povere, logorate dal lavoro manuale. Persone comuni alle quali, dopo tanti stenti, veniva strappato il cibo dalle mani del signorotto di turno. Insomma, chi erano i briganti se non “poveri Cristi” stufi di dover sempre subire e masticare finte promesse?

Del resto, se vi togliessero tutto, voi come reagireste? Si è soliti dire, anche oggi, che ci vorrebbe una rivoluzione. Beh, loro, i briganti, l’hanno fatta e per questo sono stati puniti e oltraggiati dalla letteratura, dall’arte e, quel che è peggio, dalla storia. La stessa storia che ci ha tramandato un’idea romanzata, miscelata ad avvenimenti edulcorati sul come sia nata l’Italia, circa i metodi con cui si è agito ed i debiti dei Savoia. Al Sud, ignorante per antonomasia, arriva così il bel Garibaldi sullo scenico cavallo (omettendo il particolare, pur tramandato, dei lobi che gli sarebbero stati strappati), mentre la nostra attenzione si focalizza sulla stretta di mano e sul re Vittorio Emanuele II. Tutto è così risolto, magicamente.

D’altro canto, i briganti sono gli antieroi, concetto elaborato nei minimi particolari. Aggiungiamo al tutto qualche letterato a sostenere la tesi del Sud malconcio ed il gioco è fatto. Garibaldi è un eroe, l’eroe dei due mondi. Punto. O, almeno, questo è quanto ci hanno sempre insegnato: ecco quanto si tramanda di generazione in generazione, inciso su virtuali medaglie al valore del mondo tutto, non solo dei “due” presi in considerazione. Peccato, però, che le medaglie abbiano sempre un risvolto ed a me, a questo punto, viene in mente Totò con la sua celebre frase: “I punti e le virgole, metticeli tu”. Insomma, la punteggiatura, la stessa che ai posteri di qualsiasi vicissitudine storica non è dato scegliere, ma solo accettare.

False promesse, Garibaldini eroi- mercenari, Meridionali  briganti– contadini, Sud povero- ricco: due mondi o due verità? Lo stesso Giuseppe Garibaldi, passato alla storia per il suo profilo importante oltre che per le sue “imprese”, appare in versioni storiche non ufficiali come un semplice mercenario, persino rozzo, con problemi fisici evidenti che non gli permettono neppure di salire a cavallo senza aiuto ed una cicatrice in volto causatagli da una brigantessa che non era riuscito a violentare.

Ora, premesso che non è nostro interesse scoprire se Garibaldi avesse o meno “le cosce a tarallo” né tantomeno è fondamentale conoscere i suoi gusti sessuali, queste versioni diverse da quelle consuete, assorbite perché osannate dalla storia, forniscono un chiaro quadro di come la verità possa venire manipolata dai cosiddetti “vincitori”.

“Vincitori” finti che si sono autoelogiati cui ancora oggi sono dedicate strade e piazze. Ma allora, io mi domando e dico, non sarebbe fuor di dubbio più giusto intitolare i nostri luoghi a persone che hanno pagato con la vita la volontà di un domani migliore? Di una cosa sono più che certa: Falcone e Borsellino suonerebbe meglio di Garibaldi o Cavour, a qualunque versione storica si decida di credere.