Mise piede fuori dall’uscio di casa appena levata l’alba.

Aveva sandali aperti e avvertì il pizzicore dell’aria cristallina di prima mattina veleggiare ancora sulla pelle d’oca che le ricopriva la gamba nuda.
– Al diavolo Settembre. – pensò tra sé e sé.
Era difficile per lei accettare che l’estate stava rapidamente scappando via verso altri luoghi. Ma uscire di casa all’alba era una delle poche cose che poteva ancora permettersi, e il motivo era uno e uno soltanto. Lo stesso, da sempre.

Lei voleva vedere il mare. E il Vesuvio.

Sgusciò via da casa sua, chiudendo il portone piano dietro di sé, per non svegliare nessuno.
Abitare a Posillipo era un privilegio già solo per la vista che offriva. Nonchè il biglietto da visita per i ricchi. E che lei era ricca lo si capiva subito. Dai capelli. Dalla pelle. Curata, liscia, morbida e dal colorito perfetto. Eppure, dentro di lei, dietro la piega perfettamente mantenuta di quella chioma scura e nutrita, si celava un sentimento verace e profondo, qualcosa che ribolliva di continuo, che le bruciava i polmoni e il cuore. Un sentimento feroce di attaccamento a quella terra odiata, ai vicoli bassi e sporchi dove spesso andava a passeggiare, un orgoglio smisurato nell’osservare il golfo antico.
Il mio golfo. Il mio Vulcano. Il mio fuoco. Se lo ripeteva sempre come se fosse un mantra, quasi a non voler dimenticare mai la sua radice più profonda.
Diede motore al suo scooter e sfrecciò veloce verso la discesa che la portava al lungomare. Nel sorriso che sbocciò sul viso della napoletana s’intravedevano ancora tracce di un adolescenza che era appena andata via; e i suoi lunghi, setosi e neri capelli si lasciarono spettinare dal vento di Partenope appena sveglia.

Quando arrivò a destinazione trovò il luogo insolitamente deserto. Nessuno che correva, nessuno che andava a lavoro. Una striscia di ansia cominciò a scivolare lentamente dentro di lei; un retaggio che la città di Napoli regala con fervore ai suoi abitanti. Si guardò intorno cercando di individuare un possibile pericolo ma l’unica cosa che vide fu un ragazzo. Era seduto sul muretto, con le ginocchia rivolte verso il mare. Sembrava immobile, perso tra i suoi respiri troppo profondi. Respiri che si accodavano a pensieri troppo pesanti.
La Napoletana non potè fare altro che avvicinarsi. Ancora non s’era voltata a salutare il suo Vesuvio.

– Sembra una statua antica. Ha uno di quei profili greci che ho visto solo nei libri. Sembra antico, sì. Sembra intenso. Sembra perso.

Quando fu a due passi dallo sconosciuto immobile, fu lui a parlare per primo.
-No. Non parlare con me. Ti ho già vista arrivare, con il tuo fuoco e il tuo sorriso. Non ho bisogno di un motivo in più per soffrire. Devo andare via. Sapevo che questa sarebbe stata solo una tappa momentanea. Eppure ci sono cascato con tutti i panni. Non dovevo innamorarmene. Non potevo. Ho fatto di nuovo lo stesso errore. E ora devo andare via di nuovo.- Si interruppe sospirando. Trattenne a stento una parola, ripetendola a fior di labbra, come se stesse parlando a se stesso. Una parola che la Napoletana non riuscì ad afferrare nonostante si sforzasse.

E poi, riprese a parlare con voce severa, alta e distaccata.
-La differenza è che questa città non è come le altre donne, non ti rincorre per pregarti di restare. No, lei ti lascia andare senza neanche guardarti. Lei guarda l’orizzonte e si fa ancora più bella, perché lo sa, lo sa che la stai guardando ancora una volta prima di andartene.-

Il ragazzo si alzò, raccolse lo zaino che aveva ai suoi piedi e ne estrasse un pennarello. Uno di quelli doppi, neri e probabilmente indelebili. Scarabocchiò qualcosa sul muretto che poco prima gli faceva da sedia. La Napoletana si innervosì. – Incivile. – bisbigliò senza ottenere alcun effetto.
Il ragazzo raccolse lo zaino e incamminandosi attraversò la strada e scomparve. La Napoletana prese dalla sua borsetta una salvietta, e avvicinandosi al muretto era pronta a cancellare lo scarabocchio che il ragazzo incivile aveva appena lasciato.

Ma quando lesse ciò che il ragazzo aveva scritto decise di lasciarlo lì, intatto.

“Ti amerò per sempre,
Enea.”