Scrivere di Napoli è sempre difficile. Perché diciamoci la verità: è un po’ come camminare sulle uova.

Napoli è tra le città più belle e difficili del mondo, con una attenzione costante da parte dei media nazionali e una serie di “leggende” e dicerie verosimili che l’accompagnano da sempre.
Ma come è possibile?
Vuoi che il napoletano, come lingua e come cultura, sia un prodotto di esportazione, vuoi che i grandi rappresentanti del teatro, prima, del cinema, poi, hanno giocato molto sui cliché, che nel tempo si sono andati a creare. Questo ha fatto sì che si alimentassero e cristallizzassero.
Non c’è bisogno di viaggiare troppo nel tempo: fermiamoci agli anni ‘50.
Nel 1953 nasce Massimo Troisi, solo 4 anni più tardi Vincenzo Salemme. Entrambi hanno percorso la strada del teatro e del cinema. Il primo, dal Centro Teatro Spazio a La Smorfia, ripercorre i drammi della Napoli che cavalca gli anni ’70 e gli ’80, ironizzando su una politica assente, il dramma del lavoro sommerso (un lavoretto…. guarda la mano), il fenomeno devastante dell’emigrazione. Il secondo affiancherà il grande Eduardo De Filippo e il figlio Luigi. Prima dei grandi successi cinematografici dell’”Amico del cuore”, in cui racconterà le piccole famiglie borghesi campane e il loro vivere tra tradizione e il veloce cambiamento.
Non è possibile paragonare due artisti così diversi, non vorremmo mai. In modalità diverse, questo è sicuro, entrambi attingono al loro presente (che troppo spesso assomiglia ancora al nostro) con una ironia schietta, diretta, cattiva, quasi gotica. Tipica dell’animo napoletano, che ironizza su tutto, soprattutto sulle sue piccole e grandi disgrazie, perché in fondo “Basta ‘na jurnata ‘e sole” come cantava Pino Daniele.

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Le bellezze di Napoli

Giocare con i cliché che immobilizzano la città e la cultura napoletana, trasformarli, banalizzarli, per renderli più sopportabili a tutti quelli che li vivono. Ironia sottile, curata, un mix vincente, che al botteghino sicuramente porta sempre risultati e risate. Ma a quale costo? Dai film di serie A a quelli di serie B, ragionare e favorire ancora il personaggio del napoletano scapestrato, in una società verosimile, violenta, stramba, porta ad una crescita o ad una decadenza della cultura partenopea? Creare una realtà basata sui cliché di secoli, sicuramente favorisce il pubblico e gli incassi. Un esempio è sicuramente il famosissimo “Benvenuti al Sud” adattamento italiano del francese “Giù al Nord” (si, ogni nazione ha il suo Nord e Sud). Esporre il proprio lato peggiore e presentarlo nel modo migliore, questa è la grande fortuna del napoletano. Questa stessa fortuna trasforma le problematiche di una città in linfa per tutti coloro a cui piacere banalizzare, soffermarsi senza approfondire. Allora giornali, comici, speciali TV interamente basati sull’immagine di una città che non esiste o esiste ma non nella sua totalità.

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panni stesi, napoli

“Bene o male, purché se ne parli” ma davvero raccontare sempre la solita storia, i soliti vicoli con i “panni stesi”, la solita “Napoli Violenta” che risponde quando “La camorra sfida” è ancora costruttivo? O mette in ombra una città che con tutte le sue difficoltà cerca di andare avanti, di essere un motore positivo per la regione e non solo. I cliché per essere combattuti vengono spiattellati e il mondo ne ride amaramente, troppo spesso di gusto, ed è questo che fa piovere nuovamente gli stereotipi, pesanti come zavorre, su una cultura, che cerca di emergere ma che è troppo legata, stretta ad una fotografia da cartolina sbiadita.
Abbiamo lavorato talmente tanto per farci capire e per raccontarci, abbiamo adattato la lingua dialettale per renderla comprensibile, condivisa, raccontare i segreti e le sfumature più nascoste di una cultura e trasformarla nella cultura di tutti, tanto da far conoscere l’Italia come pizza e mandolino. Giusto?