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Il sistema della moda che giunge oggi a noi si estrinseca in un processo piuttosto complicato, a tal punto da costringerci ad osservarlo da punti di vista differenti, che spesso e volentieri tendono a confonderci ed a sottoporci ad un’osservazione sempre più confusa delle sue sfumature.

Questa moltitudine di fenomeni e miti che genera la moda, prende parte a quello che è il medesimo sistema di significazione di cui essa stessa si forgia.

L’abito in sé, in tutte le sue sfaccettature di significato, traduce lo status symbol di un individuo. Concetto forse obsoleto ai nostri giorni, ma ciononostante, l’indumento in tutta la sua manifattura, riesce ancora a descrivere quel senso di appartenenza ad un gruppo sociale da parte di chi lo indossa. Questo senso di appartenenza continua a lusingare le masse, poiché invita l’osservatore ad intuire che questo lessico del vestito può rappresentare una delle più importanti ed affascinanti oggettività che ci aiutano ad abbissarci nei meandri della psicologia sociale collettiva.

 

Censire fenomeni è sempre stata una prerogativa della moda, seppur a discapito dei valori. In tal senso, essa crea illusione, tende a generare un universo apparentemente accessibile a tutti, tenta di distorcere la realtà percettiva soggiogando la psiche e servendole quella vita parallela che è cara ad ogni individuo. Prima di tutti all’artista, che è l’artefice della creazione di questo mondo immaginario.

Non è un caso che la moda si “serva”, in un certo senso, dei suoi discepoli, manovrando attraverso il marketing e la pubblicità, tutto l’andamento delle vendite di ogni singola collezione. Un fenomeno interessante del marketing – e in senso sociologico, preoccupante a tratti – è quello delle fashion bloggers.

Figura apparsa negli ultimi cinque anni o poco più, che continua ad influenzare molte delle tendenze giovanili e non solo. La fashion blogger è in qualche modo indossatrice e ricercatrice di tendenza, una free lancer che tenta di servire il mondo degli appassionati di stile, procurando loro idee sempre nuove; oltre che divenire indirettamente testimonial di un brand di abbigliamento.

 

Questo mito di per sé, potrebbe rappresentare una sfumatura affascinante del sistema, oltre che utile, ma il rovescio della medaglia ha generato non poche polemiche negli ultimi anni. Georg Simmel parlava della moda come un bisogno di “coesione e differenziazione”, ma cosa succede quando a coesistere debbono essere, più che diversi stili e classi sociali, diverse figure professionali?

Intuire una tendenza, essere una buona product manager, avere la capacità di mescolare continuamente stili sempre  diversi e possibilmente ricreare un immaginario ogni volta sempre nuovo e stucchevole, recensire il lavoro che si ha prodotto suscitando attraverso la semiotica uno stimolo che spinga a leggere quella pagina web anziché l’altra, possedere la versatilità di un’indossatrice. Sono quasi tutte le capacità che dovrebbero andare a confluire in uno spirito da fashion blogger.

Ma non sempre tutto ciò va a convergere, e da questa serie di punti che una malsana polemica prende vita. La triste verità, e forse anche giusta in qualche modo, è che diventa estremamente complicato svolgere un lavoro che abbia a che fare con il sistema della moda, allora ecco che svolgerne diversi tutti in una volta, diventa quasi impossibile oltre che alienante per lo spirito. Giunge inoltre una sopravvalutazione del sé che tende appunto a muovere commenti negativi da parte di coloro che svolgono un solo compito lavorativo nella vita, fatto con estrema accuratezza ed impeccabilità.

 

Allora perché muovere tanta suggestione intorno all’argomento se, aprioristicamente può sembrare una battaglia persa in partenza? Freud esplica in maniera esaustiva cosa avviene intorno a tale fenomeno: “E’ accertabile con evidenza che il narcisismo di una persona suscita una grande attrazione su tutti coloro i quali, avendo rinunciato alla totalità del proprio narcisismo (il che di solito corrisponde alla norma), sono alla ricerca di un amore oggettuale. Queste donne amano, con intensità paragonabile a quella con cui sono amate dagli uomini, soltanto se stesse”. Questo ci invita ad una riflessione, poiché lascia intendere quanto, attraverso la moda, queste donne, tentino di accrescere una propria autostima, cercando approvazione dalla collettività. Problema oggigiorno riscontrabile in molti fenomeni legati alla comunicazione di massa.

L’amore oggettuale di cui parla Freud va a sposarsi perfettamente con il concetto di moda. La moda come in pochi la leggono, è uno strumento consapevolmente illusorio, genera velocemente nuove soggettività e con la stessa caducità le porta via, allora si avvale di questo “diritto alla truffa”, invitando le masse a coesistere e combattere per la stessa fetta di mondo, ma nonostante ciò le allontana le une dalle altre differenziandole. La fashion blogger è generata dal sistema della moda, un’ icona partorita da essa. E come tutte le icone, destinata a passare. Parliamo di un movimento ciclico, estremamente veloce nel suo percorso, ed è proprio questo concetto che rende il tutto snervante e piccante al contempo.

 

Il nocciolo della questione, la sue essenza, vive nella ‘consapevolezza’. Nell’accettazione che ogni mondo ha le sue leggi e le sue licenze, la moda ricorre all’infedeltà, all’irrazionale. Il designer ricrea dei mondi e delle atmosfere, si sforza di rendere reale ciò che vive nella sua immaginazione, e attraverso questo immane sforzo del convertire un concetto in prodotto, si serve di centinaia di figure diverse, ed ognuna risponderà ad un suo dovere. La figura che trascenderà questo dovere, sprecherà tempo ed energie, poiché l’aspetto irritante della moda sta proprio in questo: nel non accettare dettami e supremazia altru