Spesso, molto spesso, alle tante maldicenze, al tanto accanirsi dell’opinione pubblica nei confronti di Napoli e del popolo napoletano, succede di ricorrere alla millenaria storia di “Parthenope“e di pretendere il giusto rispetto per una cultura immensa da ogni punto di vista.

Ma pochi conoscono anche quelli che sono i segreti, le oscure particolarità, la magia che avvolge tutto lo scenario partenopeo e che contribuisce a rendere ‘caso a sé stante’ la nostra cultura: anzi, Napoli forse vive più all’ombra che alla luce del suo meraviglioso sole; i motivi perdono di senso nella storia, si confondono in essa.

Tomba della sirena Partenope, la più bella del Mediterraneo, morta suicida nello stesso mare che ne aveva apprezzato i riflessi; terra di responsi, riferimento mistico: la Sibilla cumana, che ha affascinato gli storici di tutto il mondo e di ogni epoca; ma Napoli è anche superstizione, è anche portatrice di una verità mai rivelata, ‘di una genialità senza nulla a pretendere’. In questo contesto prenderemo in considerazione una Napoli particolare, spesso taciuta, talvolta sfiorata: la Napoli esoterica, quella spinta a forza in uno scantinato, quella ignara ed ingenua descritta da leggende dimenticate; la Napoli buia, incolore, bugiarda.

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L’antro della Sibilla umana

E a tal proposito non me ne voglia il nostro buon pubblico se, come una seria    trattazione esige, parto dalle origini, o perlomeno dalle prime tracce di civiltà, o      pseudo-tali, che la nostra regione ricordi. Le prime ed archeologicamente datate tracce di insediamenti umani, agglomerati sociali, nel territorio costituente l’odierna Napoli, risalgono all’VIII sec. a.C. e ( il condizionale è d’obbligo ) risalirebbero alla civiltà di Cuma, fondata qualche secolo prima da coloni greci. In questa fase si parla solo di alcune particolari zone prese in considerazione nell’insediamento: la zona corrispondente all’attuale borgo di Santa Lucia, quella di Piazza Santa Maria degli angeli e una necropoli nei pressi di via Nicotera. Queste le zone prese in considerazione dai ‘fondanti’ in questo primo approccio con Palepolis, la città vecchia. Le fonti perdono di ipoteticità alle soglie del VI sec., dove si può affermare con relativa sicurezza che la città era nelle mani dei Cumani, i quali avevano strutturato una loro città-tipo su di un territorio certamente strategico, certamente situato in una posizione ideale .
Sul finire del VI secolo i Cumani provvidero ad abbandonare Palepolis e ad adoperarsi per Neapolis, la città nuova, nata poco lontano dal nucleo originario ‘Palepolitano’; in realtà, racconta Lutazio, Palepolis fu fondata da alcuni disertori cumani in prossimità della tomba della sirena Parthenope, ma Cuma, spaventata dalla crescita rapida di Palepolis decise di distruggere la città. L’azione provocherà una reazione divina; l’oracolo, probabilmente elaborato proprio nel Lago d’Averno, sarà laconico: riconsegnare la città distrutta ( Palepolis ) e ricostruire con sacro encomio la tomba della sirena Parthenope: gli Dèi, sin dalle origini della città e della civiltà di Neapolis, sono dalla parte dei ‘Neapolitani’, e i Neapoletani saranno determinanti in tutti quei processi storici che si svincoleranno da questo momento in poi…